Attualmente la tecnologia dipende da elementi che quasi nessuno conosce: neodimio, disprosio, litio, cobalto, telurio, gallio, indio, tra gli altri. Si tratta dei cosiddetti “metalli rari” o elementi critici e terre rare. La disponibilità di questi elementi è diventata una questione cruciale. La cosa curiosa è che “raro” non sempre significa scarso. Molti sono ampiamente distribuiti nella crosta terrestre, ma raramente in concentrazioni che ne facilitano l’estrazione. Questo dettaglio rende il loro ottenimento un processo complesso, spesso costoso e con impatti ambientali che la comunità scientifica sta cercando di ridurre. Con il progredire della transizione verso le energie rinnovabili, la domanda globale di questi metalli cresce senza sosta e con essa l’urgenza di trovare modi più responsabili per produrli e gestirli.
La sperimentazione

È qui che la scienza dei materiali diventa protagonista. Questa disciplina, situata al confine tra fisica, chimica e ingegneria, studia come estrarre al meglio queste risorse, ma anche come sostituirle quando il loro utilizzo diventa insostenibile. Team di diversi paesi stanno sperimentando magneti che non necessitano di terre rare, batterie a base di sodio, molto più abbondante del litio, o leghe in grado di mantenere le prestazioni senza dipendere da elementi critici. Non si tratta solo di innovare per innovare, ma di immaginare un futuro tecnologico meno vulnerabile e più equilibrato.
Tuttavia, parlare di metalli rari non significa solo parlare di laboratori o catene di approvvigionamento. Significa anche riconoscere il rapporto materiale che abbiamo con il pianeta. Ogni cellulare, ogni pannello solare e ogni batteria è, in un certo senso, una piccola mappa minerale in cui si trovano frammenti provenienti da diverse parti del mondo. Pensare a questo cambia il modo in cui valutiamo gli oggetti che utilizziamo e ci ricorda l’importanza di gestirli bene quando smettono di servirci.
Cosa li rende così speciali?
I metalli rari non sono “rari” perché scarsi, ma perché quasi mai si trovano concentrati in giacimenti facili da sfruttare. Questi elementi hanno proprietà elettroniche e magnetiche che nessun altro materiale può eguagliare. Ad esempio:
- Neodimio e disprosio. Creano i magneti permanenti più potenti al mondo. Senza di essi non esisterebbero motori elettrici compatti né turbine eoliche efficienti.
- Litio. Immagazzina più energia per chilo rispetto a qualsiasi altra opzione chimica.
- Cobalto. Stabilizza le batterie agli ioni di litio in modo che non prendano fuoco né perdano rapidamente la loro capacità.
- Tellurio e selenio. Convertono la luce solare in elettricità con maggiore rendimento in alcune celle solari a film sottile.
- Gallio e indio. Consentono agli schermi LED e OLED di brillare con colori intensi e consumare poca energia.
Il problema: la disponibilità

La Cina produce tra l’85 e il 90% delle terre rare raffinate del mondo. Cile, Australia e Argentina concentrano il 90% del litio. La separazione di questi elementi richiede processi chimici complessi, molta acqua ed energia e genera rifiuti tossici e radioattivi.
Per diversi decenni, l’Occidente ha chiuso i propri impianti perché era più economico e meno inquinante acquistare dalla Cina. Tuttavia, nel 2020 questa dipendenza ha fatto scattare l’allarme. Gli Stati Uniti hanno riaperto la miniera di Mountain Pass (California) e finanziano impianti di separazione in Texas e Canada.
L’Australia, dal canto suo, sta sviluppando diversi progetti. L’Unione Europea ha dichiarato 34 materiali “critici” e si è prefissata l’obiettivo di estrarne il 10%, riciclarne il 25% e trattarne il 40% entro il 2030. Il Giappone ricicla già il 30% dell’indio che utilizza negli schermi e dispone di riserve strategiche di sette metalli.
Riciclaggio e sostituzione
Oggi viene gettato nella spazzatura più cobalto e litio di quanto ne venga estratto in molte miniere. Un vecchio telefono cellulare contiene 0,2 g di cobalto; un milione di cellulari equivalgono a 200 tonnellate, lo stesso quantitativo di una miniera di medie dimensioni.
Aziende come Redwood Materials (USA), Umicore (Belgio) e Li-Cycle (Canada) stanno costruendo fabbriche che recuperano il 95% del litio, del cobalto, del nichel e della grafite dalle batterie usate, con l’80% di emissioni in meno rispetto all’estrazione tradizionale. Esistono già processi che promettono di recuperare il 90% dei vecchi magneti.
L’altra strada è quella di progettare materiali che richiedano meno o nessuno di questi elementi. Anche in questo campo sono stati fatti progressi. Nel 2023, Tesla ha annunciato la creazione di motori senza terre rare, utilizzando magneti in ferrite migliorati e più rame.
Altre aziende come Niron Magnetics (USA) stanno sviluppando magneti in ferro-nitruro che potrebbero sostituire il neodimio. Allo stesso modo, i ricercatori dell’Università di Cambridge e della Toyota stanno lavorando su batterie al sodio-ione che non necessitano di litio né cobalto.
Ostacoli e prospettive
In Congo, il 70% del cobalto viene estratto in modo artigianale: bambini e adulti scavano con le mani in gallerie che crollano. Nel deserto di Atacama, l’estrazione del litio consuma l’acqua di cui le comunità indigene hanno bisogno per vivere. In Cina, i laghi tossici di scorie di terre rare hanno contaminato interi fiumi.
Nei prossimi 15 anni avremo bisogno di 4-6 volte più litio, 3-4 volte più cobalto e circa 10-15 volte più terre rare rispetto ad oggi. L’obiettivo è che il riciclaggio copra il 20-40% della domanda entro il 2040.
Si prevede inoltre che le nuove chimiche delle batterie (sodio, ferro-aria, stato solido) ridurranno la pressione sul litio e sul cobalto. Nel frattempo, i magneti senza terre rare saranno in produzione di massa prima del 2030.
